Saliamo di corsa in macchina dopo aver caricato le valigie, sono le 18.45: speriamo di non arrivare tardi a causa del traffico. Fuori piove, ormai sono abituata a dovermi riparare dalla pioggia in questi giorni.
Nell’uscire dal mio cortile mia mamma rischia di investire il cane S. Bernardo del vicino che si è piantato in mezzo al viale. Le ragazze si mettono a ridere e Judit mi dice che somiglia a Gigi (il mio cane), solo un po’ più grande (alla faccia del più grande: il mio cane è 20 volte di meno di un S. Bernardo!).
A metà strada mi ricordo di Denisse e le telefono. Lei risponde con una voce dall’oltretomba e mi dice di non preoccuparmi se non posso passarla a prendere, e mia madre approva sostenendo che saremmo arrivate in ritardo all’aeroporto. “Cavolo Den, mi dispiace da morire! Chiama Baro che di sicuro passa a prenderti!” “Si, sì tranquilla adesso gli telefono…”.
Durante tutto il viaggio io e mia madre parliamo con le ragazze e lei sembra molto interessata all’assetto politico spagnolo: chiede i nomi delle regioni che ci sono, se alcune sono indipendenti, perché la Catalonia vuole essere indipendente e fa paragoni con l’Italia: il Trentino, il Piemonte.. Io intanto scopro cose che non sapevo e resto muta nella mia ignoranza. Anna mi stupisce quando ci ripete come se fosse una filastrocca tutti i nomi delle regioni spagnole e in che rapporti sono e la loro storia e quanto sono importanti e cosa ne pensa lei.
La cosa più sconvolgente della scena è che io e mia madre parliamo in italiano e loro parlano in spagnolo, e la conversazione fila liscia come l’olio rovesciato sul marmo in quanto ci capiamo alla perfezione. Solo ogni tanto dobbiamo ricorrere a qualche termine in inglese, ma avremmo potuto farne a meno.
Arrivati all’aeroporto. Mia madre rischia di investire un pedone che attraversa sulle strisce: è il secondo rischio in venti minuti di viaggio e arrivo alla conclusione che oggi mia madre o è particolarmente stanca, o è particolarmente distratta. Oppure semplicemente le sfrecciano davanti all’improvviso e è tutta colpa degli altri.
Colpo di fortuna troviamo subito parcheggio e proprio davanti all’entrata.
Entriamo, loro cariche di valigie e io carica di pensieri. Mentre passo dalle porte scorrevoli ho in testa: “Secondo me non piangerò. Non mi sembra di avere legato tanto da piangere. Magari qualcuno piangerà, ma io credo proprio di no. Non è mica come quando quest’ estate ho dovuto salutare tutti gli amici! A loro sì che ero affezionata!”.
Dopo dieci minuti che chiacchiero con le mie compagne mia mamma deve andare. Faccio vedere il pancione in crescita alle altre e lei saluta le mie spagnole. “Gracias Marzia, it was all perfect in your house!” e lei: “Come back in Italy again!!”. E aggiungono di ringraziare Andrea, di salutare Gigi, le augurano in bocca al lupo per la bambina e un sacco di altre cose.
Ancora pochi minuti passati a commentare quanto siamo stanchi,cosa abbiamo mangiato prima di venire lì, a che mese è mia madre, la doccia che ci faremo appena arrivate a casa, sorella di Emy che si è aggrappata a Lina e non voleva lasciarla andare, genitori contenti e ai genitori scontenti, perché Denisse non c’è, a salutare gli ultimi arrivati, il compleanno di Maddalena la sera dopo, alla maledettissima verifica di fisica di lunedì, alla poca voglia di arrivare a scuola…
Poi scatta la sirena: la voce della professoressa spagnola grida : “Tutti a fare il check-in!!”.

Il delirio è cominciato: vedo le mie ragazze corrermi incontro a braccia aperte e con gli occhi pieni di lacrime: “Federicaaaaaaaaaaaaaaa!!”.
Ci stringiamo in un abbraccio e sento il profumo di Anna che ho imparato a odorare in giro per casa e sento il magone sempre più grosso in gola che inevitabilmente si sfoga in lacrime…
”Pazzesco- penso- devono già partire??”.
Mi rendo conto di quante cose mi sarebbe piaciuto fare ancora con loro, delle città che avrei voluto fargli vedere, dei piatti meravigliosi di mia madre che non hanno ancora assaggiato e delle uscite insieme che avremmo potuto fare in compagnia di tutti gli altri ancora.
In un lampo metà delle ragazze catalane piangevano, tutti si abbracciavano, e gli abbracci facevano piangere anche noi e il delirio si è trasformato in catastrofe. Nessuno, anzi nessuna, anzi quasi nessuna è riuscita a trattenersi dal commuoversi!
La cosa peggiore è che dal momento in cui la prof ha annunciato il check-in al saluto vero e proprio mancava ancora un sacco di tempo…